La città perduta, "Voyager", Rai Due, 1 settembre 2010
La città del titolo è la celebre Machu Picchu.
Roberto Giacobbo comincia chiedendosi: "Ma a cosa serviva?"
Voyager tira fuori la solita storia che le civiltà dei tempi non sembrerebbero, secondo loro, avere le conoscenze necessarie per costruire gli edifici.
Il servizio dice che non conoscevano la ruota né avevano utensili in ferro e quindi conclude che è un mistero come abbiano fatto a edificarla. (ndr: cominciamo a contare:
1). Dopo poco, Voyager torna a chiedersi come hanno fatto a portare quelle grosse pietre fin lassù (ndr: e
2) e come hanno fatto a scolpirle, chi l'ha fatto, perché l'hanno costruita in un luogo tanto impervio, perché l'hanno poi abbandonata.
Giacobbo dice che hanno dovuto portare su più di 25.000 tonnellate di terra a mano o con i muli. Ripetendo quanto già detto, si chiede come avrebbero gli Inca, con i loro pochi mezzi, senza la ruota e il ferro, a costruirla così in alto. Dice che non si è certi che gli Inca avessero una serie di conoscenze necessarie per farlo (ndr: e
3).
Si parla quindi della scoperta di Machu Picchu da parte di Hiram Bingham nel 1911. Bingham riteneva che si trattasse della città di Vilcabamba, la città dove gli Inca si rifugiarono per sfuggire agli Spagnoli. L'ipotesi, però, si rivelò sbagliata (ndr: ironia della storia, Bingham scoprì pure le rovine di Vilcabamba, ma non le identificò come tali). La spedizione di Bingham trovò ossa umane e si ritenne che l'80% fossero di individui di sesso femminile, così che Bingham pensò che si trattasse delle "Vergini del Sole", le ragazze più belle scelte per far parte di una specie di sacro convento e che l'ultimo imperatore inca si sarebbe portato nella città rifugio (ndr: ma, come detto, Machu Picchu non è la città rifugio di Vilcabamba). John Verano ha però corretto i dati presentati allora: le ossa erano più piccole di quelle di confronto per diversità etniche (quelle di confronto erano di europei e africani) e non perché femminili anziché maschili.
Voyager dice che in un documento si trova scritto che nel 1568 Machu Picchu era di Inca Yupanqui, ovvero di Pachacútec, primo imperatore Inca.
Giacobbo si chiede: ma aveva i mezzi per farlo? (ndr: e
4).
Quindi, con gli interventi di Kenneth Wright (idrologo) e di Fernando Astete (direttore del parco archeologico di Machu Picchu), si parla dei terrazzamenti e dei sistemi di drenaggio dell'acqua. Al termine delle spiegazioni, Giacobbo, tanto per cambiare, si chiede se ci sono prove che siano gli Inca a fare tutto questo (ndr: anche se espressa in modo un po' diverso, la solfa è sempre quella: e
5).
Wright dice ancora un po' di cose sul drenaggio, al termine delle quali Giacobbo, evidentemente grande sostenitore del detto "repetita iuvant", si chiede se davvero gli Inca possono aver fatto tutto questo e come potevano tagliare il granito senza utensili adatti (ndr: e siamo a
6).
Quindi Giacobbo dice che gli incastri delle pietre sono difficili, soprattutto nelle costruzioni più antiche, dove appaiono sagomate come fossero state di plastilina, mentre le costruzioni successive sono più grezze, come se le conoscenze tecnologiche su come ammorbidire le pietre fosse man mano regredite. Giacobbo, forse assalito dal dubbio di aver dimenticato di dirlo, si chiede se possono essere stati realmente gli Inca a far tutto questo (ndr: arrivando così a
7).
Voyager dice che una colonna costruita a Machu Picchu, chiamata Intihuatana, è allineata con quattro cime sacre corrispondenti ai punti cardinali e alle quattro divinità montane più potenti.
Giacobbo dice che nel 1930 il professor Rolf Muller ipotizzò che Machu Picchu fosse un osservatorio astronomico e fosse stata costruita tra il 4000 e il 2000 a.C.
Per conclusione, Giacobbo si chiede se può essere che gli Inca abbiano trovato a Machu Picchu una struttura già esistente (ndr: però avrebbe fatto bene a precisare che tale ipotesi nasce dal fatto che lui si chiede se gli Inca avevano le conoscenze per farla loro: nel servizio è stato detto solo sette volte e quindi a qualcuno potrebbe essere sfuggito
).
Per Giacobbo "è una teoria che aspetta delle conferme". (ndr: notare il fantastico linguaggio giacobbiano: se dite "una teoria che non ha ancora la minima conferma" suona come dire che è una fesseria, ma se dite "è una teoria che aspetta delle conferme", che in effetti è esattamente la stessa cosa, suona come se fosse una roba scientifica).